Fermo immagine di Alberto Abbà

Garbata e bella

Oltre cento anni di vita e non sentirli. L’età della Garbatella, un quartiere di Roma dove finisco, non a caso, in una calda domenica d’estate. Ideale per andarci a piedi e passare un giorno festivo senza le orde barbare dei turisti in capitale. Casette colorate basse, ampi cortili, giardini curati, strade pulite, comignoli artistici a forma di firma di architetto. 
Suddivisione in lotti numerati, ognuno con il suo carattere e il suo vestito. 
L’origine è marinara di un luogo nato per accogliere maestranze in grado di costruire un porto di collegamento fra il fiume Tevere e il porto di Ostia. La bellezza ragionata e voluta ieri è valida ancora oggi ed è una ventata di aria fresca quel senso di cura e attenzione ai bisogni delle persone, per favorire integrazione e dialogo, in spazi accoglienti in mezzo al verde.
Allora un’architettura del genere è possibile. 
Attenta e su misura e non fatta solamente di palazzoni ad alveare, soffocati gli uni sugli altri, tipici delle periferie e costruiti senza perseguire filosofie di socialità e benessere, ma focalizzate sul soldo, con il risultato di costringere in ghetti, irraggiungibili da bus e servizi. 
I pensieri del tempo che fu, di un progetto marinaresco incompiuto, vengono distratti da qualche parola che mi arriva con l’accento romano, mescolata insieme ai profumi dei piatti tipici, intensi e diretti fra naso e stomaco. 
Perdersi in queste vie è piacevole, passeggiando senza fretta o trasportati comodi su una Vespa di morettiana memoria, magari con la speranza di finire accolti e coccolati dalla “garbata ostella”, altro che dai Cesaroni!
A chi mi augurava su un foglietto di carta scritto a mano, lasciato sopra al tavolo in cucina, una buona giornata in Garbatella, sempre garbata e bella, posso rispondere che è stata proprio così.