Fermo immagine di Alberto Abbà

Autoporto Pescarito

Non percorrevo l’autostrada Torino-Milano da anni. L’andata a 30 gradi, il ritorno in notturna senza radio e con i pensieri liberi. Il pedaggio è aumentanto e i cantieri non sono diminuiti. L’autogrill che fa da arco a Novara, l’outlet a Vicolungo, la solita Barriera.
Quando leggo il cartello Autoporto Pescarito è subito amarcord.
Un nome che evoca accozzaglie. 
Subito si direbbe che abbia a che fare con le auto, poi arriva il porto ad ingannare, portando il mare.
La conferma arriverebbe dalla pesca, che però unita a rito riporta alla catena di ristoranti di anni fa: pastarito, pizzarito, risorito (esistono ancora?).
Per chi come me ha lavorato in quella zona quel nome si lega agli anni della Cemit. Ai colori bianco rosso del logo, al caffè di fianco alla portineria subito prima della mensa e del magazzino. Sopra i due piani suddivisi fra reparti commerciali e operativi. Uffici aperti e separati da pareti inesistenti, impregnate, insieme alla moquette, di fumo e di parole. Con quelle etichette con sopra i nostri nomi, tanti a ripensarli tutti e qualcuno assente all’appello. 
E poi il bar dei camionisti capitanato dalla mitica “Labbroni” dove con un buono pasto potevi anche farcela a mangiare. L’Autoporto era dopo Torino, fuori San Mauro, lontanissimo dalla mia provincia, che per arrivare nei mesi di stage voleva dire sveglia tutti i giorni alle 4.30, auto, treno, 2 tram e 1,5 km a piedi e con un rientro notturno a casa da favola.
Quella periferia trasandata, negli anni duemila, ha visto prima cambiare i nomi delle aziende, poi le chiusure. 
Le vecchie insegne dei posti abbandonati mettono tristezza. Meglio i ricordi, quelli puoi tirarli a lucido e rendere splendente anche quello che non lo era. E a noi in fondo piace così, fra quel che resta di un badge sbiadito e quell’elenco di nomi su carta, con a fianco un numero di interno.
albiabba@libero.it